Amabili dissonanze - Elena Gradini, aprile 2023

Viaggio sentimentale nei mondi abitativi di Franco Bianchi Poteca

A un imperatore melanconico, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili. Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che possono valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di immagini, di ricordi.

Italo Calvino, Le Città Invisibili

É un volo pindarico verso mondi affascinanti e sconosciuti quello che conduce l’osservatore dinanzi alle creazioni dell’artista Franco Bianchi Poteca. Architetto di formazione, ha scelto nel corso della sua pluridecennale carriera artistica e creativa la strada dell’immaginazione decostruttiva che scompone i parametri dello spazio-tempo e utilizza l’occhio come vettore percettivo di un’immagine anamorfica che produce opere ora lievi, ora grevi, mai scontate; sempre destabilizzanti. La sua recherche é un viaggio complesso attraverso altre realtà, città ideali del nostro tempo in cui, lontani da quei parametri di bellezza estetico-concettuale tipici del Rinascimento siamo ora proiettati verso la decostruzione del segno, del significato semantico, dove tutto diventa presenza e contrario di esso. L’artista Bianchi é in tal senso un viaggiatore visionario che assorbe ed interiorizza frammenti di vissuto per poi trasformarli in segni, contrappunti, superfici. Lacerti destabilizzanti di realtà ricucite dove l’immagine si scompone per lasciar spazio al piano interpretativo che pertiene alla percezione ineffabile del tempo, abitato da una sovraproduzione di ricordi, trame intessute, mondi abitati da bizzarri esseri antropomorfi o animali, che sono presenze stranianti, sono altro da sé. In queste complesse trame dell’abitare psichico trovano posto all’unisono dipinti, sculture e produzioni poetiche le quali non vanno interpretate in modo disgiunto quanto piuttosto come una complessa iperbole creativa che concorre a creare una trama delicata, a tratti inquietante, dove il flusso di coscienza del nostro autore si fa via via più o meno accentuato, scandendo il ritmo di tutte le singole composizioni visive che vanno a ricostruire la trama di una memoria che accumula e poi decostruisce e disgrega lo spazio architettonico. Nelle sue opere, siano esse dipinti, sculture o idee in versi si riesce sempre a cogliere un sottile filo conduttore della storia che di volta in volta viene narrata, sebbene la feconda produzione dell’artista possa essere interpretata sia come unicum che come singola unità creativa. In tal senso piace scorgere nei suoi dipinti mondi antichi e a noi sconosciuti, dove la materia e il concetto si fanno immagine visiva e lo spazio si articola attraverso nobili pieghe di colore, ora quiete ora violente. E poi superfici, stratificazioni, luminescenze arcane che abitano ed animano l’opera, che può essere per la maggior parte delle volte interpretata o come singolo frammento o come trittico nell’ottica di un moderno Modulor che demarca una certa scala di proporzioni. Siano esse visioni affettive o inquiete, in questa complessa traduzione segnica ed anamorfica del mondo trovano spazio le sue sculture; esseri a metà tra il lieto e il minaccioso. Espressioni concettuali di un profondo pensiero poetico e creativo che l’artista ha maturato ed arricchito nel corso degli anni e della sua esperienza vissuta. Le sue opere completano la messa in scena di una realtà interpretativa complessa, in cui l’atto del pensiero e dell’immaginare conduce l’occhio a fare da tramite per accedere al viaggio interiore dove domina uno spazio-tempo altro, governato dalla memoria e dall’inconscio. Così si spiega la presenza di volatili, nella fattispecie pappagalli lignei, curiosi voyeur che osservano muti e lo spettacolo dell’esistenza che scorre davanti al loro sguardo.  Nelle città ideali di Franco Bianchi Poteca abita la logica degli opposti, dove ogni elemento narrativo é funzionale a ricostruire una storia, in una lotta antitetica in cui l’inconscio e la razionalità si incontrano e si arricchiscono l’uno con l’altro. Spesso prevale la pareidolia del subconscio, dove l’anamorfosi progettuale stravolge i significati che le nostre zone di comfort abituali hanno imparato a riconoscere e codificare entro certi schemi.  Nella sua ricerca artistica egli ci mostra la sua percezione del mondo e della realtà delle cose, rielaborata sulla base dell’essenza stessa dell’esistenza dell’uomo a questo mondo, dove molti sono gli stimoli e le contaminazioni che provengono dalla realtà esterna. Ecco quindi che Franco Bianchi diventa quel viaggiatore visionario, il Marco Polo dei nostri tempi. Il Narratore di novelle del nostro secolo, dove la forma prevale sull’essenza, dove tutto diventa il contrario di esso. In questa particolare quanto destabilizzante brigata del vivere egli cerca tuttavia di dare una possibile chiave di lettura a ciò che per sua natura tende ad essere illogico. In questi suoi mondi, abitati dal pensiero, da altre forme di percezione visiva e linguistica, non manca però l’omaggio alla sua terra ciociara. Un ritorno alle quiete radici, alla stabilità degli affetti antichi, tradotti nelle sue sculture femminili, rassicuranti presenze all’interno del suo sipario scenico, forse a tratti minaccioso. Mai scontato.  Sembra davvero di essere catapultati all’interno di un mondo altro, dove la matrice del tutto è la vita, che accumula brandelli di memoria che si sedimenta, piano, lentamente, adagiata su ogni strato di colore, su ogni battito d’ala di quei pappagalli immoti, nelle pieghe calligrafiche delle sue pagine. I libri sì, quelle porzioni silenziose di pensiero che traducono tutta la sua complessa produzione immaginifica in un codice di decodificazione concettuale utile a interpretare tutto il resto del suo complesso apparato scenico visivo come un grande ed indivisibile corpo organico.  Nelle sue città ideali, invisibili, c’è dunque tutta la bellezza estetica del nostro tempo, dove la memoria, oltre ad assolvere la sua funzione psichica di assimilazione attraverso dati sensibili provenienti dall’ambiente esterno, diviene un elaboratore di ricordi ed esperienze, di processi docili che hanno avuto un giusto periodo di acquisizione. In virtù della sua originalissima percezione creativa, l’artista compie un processo di elaborazione, ragionamento, intuizione, coscienza, che conduce gli stimoli all’occhio, il quale poi traduce tutte queste forme di ispirazione attraverso la realizzazione di dipinti, sculture, o produzioni letterarie che vanno interpretati all’unisono, come parti differenti di uno stesso racconto narrativo.  Dunque i mondi rappresentati dall’artista Franco Bianchi Poteca divengono amabili perché in essi l’osservatore può scorgere interessanti stimoli abitativi, nuove forme di percezione della realtà che si può interiorizzare e fare in qualche modo nostra.  In questo modo quel viaggio nel colore, nelle sue forme architettoniche, grafiche o letterarie può diventare sentimentale, quando ci sforziamo di comprendere con sentimento logico ed affettivo insieme la complessità della vita e delle sue innumerevoli sfumature. Piace pensare che il merito dell’artista sia quindi quello di condividere con il pubblico il suo personale modo di interpretare la realtà, di elaborarla e costruirla secondo una progettualità nuova, aggiungendo stimoli, percezioni creative, che diventano delle possibili chiavi di lettura per comprendere l’esistenza, e che vanno molto al di là della banalità del semplice vivere quotidiano per il quale spesso non ci si accorge delle tante opportunità di bellezza che la vita sa offrire.

Elena Gradini, aprile 2023

Franco Bianchi – l’equilibrio sopra la poesia - Marcello G. Lucci, aprile 2022

L’attitudine al lavoro creativo di Franco Bianchi viene da lontano e probabilmente ha una matrice genetica, essendo egli figlio d’arte. Suo padre Giovanni era pittore figurativo, autodidatta, autore di quadri densi di vitalissimo cenno cromatico a spontanea propensione post-impressionista; essenziali nella loro stesura gradevolmente stenografica. Pittura schietta, in grado di esprimere una naturale narrazione. Di particolare interesse il ciclo (costituito da sessanta dipinti) dedicato con afflato culturale e sentimentale al capolavoro manzoniano “ I Promessi Sposi”. Così, Franco si è formato fin da piccolo in un ambiente familiare stimolante, attento ad ogni minimo progresso tecnico e creativo del bambino futuro artista che oggi racconta, con una certa nostalgia: “mio padre – che non buttava via mai nulla – conservava i miei piccoli disegni  infantili e questi sono giunti fino a me, a dimostrare la mia originaria, innata, predisposizione all’arte”. Da questo affettuoso ricordo risulta evidente la riconoscenza del figlio nei confronti della figura paterna primo mentore della sua attività di pittore, nonché suo primo maestro. Esiziale, quindi, per l’artista di Fontana Liri l’atmosfera familiare e poi le giovanili frequentazioni del conterraneo pittore Manlio Sarra, eccellente paesaggista, con il quale da ventenne ha condiviso molte proficue escursioni nella campagna laziale per dipingere an plein air. E la “contaminazione culturale” è andata in qualche modo oltre con l’altro illustre artista ciociaro Umberto Mastroianni che, da vicino o da lontano, lo ha positivamente influenzato; quanto meno nella sua ricerca in campo aniconico/strutturale. Per di più, il nostro ha seguito studi universitari di architettura che lo hanno definitivamente e magistralmente determinato a risolvere lo spazio in edilizia così come nell’arte visiva. Bianchi durante la sua ultra-quarantennale carriera si è dimostrato instancabile nella condotta ideativa e soprattutto nell’affondare la propria curiosità verso le possibilità espressive dei più svariati materiali: legno, carta, spago, metalli, plastiche, pietre colorate, fino a ad assemblarli in sontuosi polimaterici belli e preziosi, si faccia riferimento per esempio al trittico “Les jardins du palais”. Egli è un irrequieto sperimentatore, un ricercatore ad oltranza di contenuti e maniere estetiche. Partendo da una figurazione tradizionale già agli esordi include spazi dilatati, come pause tra le immagini. Da subito predilige allontanare le figure, le forme, nella superficie pittorica mettendo in scena una sorta di dialogo a distanza tra loro. Reciprocità tra personaggi o tra uomini e cose, sempre mediata dallo spazio. Un vuoto nel quale spesso si rincorrono frammenti di colore a mimare il movimento, l’azione, forse anche la parola. Paradigmatico il dipinto tra astrazione e figurazione “Mangiatore di cocomero” del 1982, oggi in collezione privata. L’artista, inoltre, ha sempre dimostrato attenzione per gli animali; a suo dire attratto dalla la loro vita allo strato brado. Può darsi che sia l’autosufficienza e la naturalità della vita animale ad interessarlo. Il senso di libertà degli uccelli o l’autonomia dei gatti informano la sua indipendenza di artista: originale e affrancato dal cosiddetto “sistema dell’arte”. Pappagalli tridimensionali, in legno e altri materiali, prodotti in grande quantità in un crescendo ossessivo a realizzare installazioni dal forte effetto scenografico. Uccelli che provocano, tra l’altro, un diffidente richiamo tattile. Presenze inquietanti, silenziose, come in attesa di eventi imminenti e poco rassicuranti. Narrazione muta di un dramma incombente. Una sorta di citazione cinematografica da Hitchcock. Montaggio situazionista di elementi che possono variare di numero e di posa a seconda del luogo espositivo. Arte plastica e ambientale che l’autore propone da vero e proprio regista. In ultima analisi, si tratta di adattamenti accattivanti per la loro ossimorica natura sospesa tra dolcezza e aggressività. Opere nelle quali la quiete apparente, la funzione simbolica dei protagonisti, la loro ritmica posizione, esprimono anche una indubbia fascinazione poetica. Panorama fantastico e surreale, quindi, costruito mediante manufatti concreti, immobili, eppure capaci di invadere prati, piazze, gallerie – in pratica sedi espositive all’aperto o al chiuso – per dare sfogo al talento immaginativo dell’autore. Mentre, l’opera squisitamente dipinta che caratterizza la produzione più recente dell’artista è data da tele in cui campeggiano eleganti rarefazioni segniche a regolare lo spazio. Estensioni che si svelano in larghe campiture monocromatiche. Irregolari scacchiere bianco su bianco, magistralmente attraversate da lacerti di grigio stinto o altre nuances  appena accennate, abrase. Solo qualche punto di luminoso colore o linea netta, geometrica, a mettere ordine, a conferire una struttura. E sovrapposizioni di sgranate velature per vivacizzare la superficie spiazzandone la nitidezza percettiva. Tuttavia, ciò che sostiene primariamente questi dipinti è il segno, progettato nel suo schema complessivo ma spontaneo nella sua realizzazione immediata, senza ripensamenti. Tratto essenziale, deciso per quanto esile, indirizzato ad affollarsi verso fughe prospettiche o a diradarsi nelle zone periferiche del quadro; mantenendo sempre un sapiente equilibrio formale nella composizione. Opere sorrette da segni portanti come linee di forza tensiva, capaci di flettere e tuttavia resistenti, risolutive nell’indicare la stabilità dell’insieme. Incisioni nel corpo vivo dell’impasto cromatico, sicure nella loro traiettoria ma il cui verso non è dato sapere o quanto meno non è sempre stabilito a priori dall’autore che, a volte, consente al fruitore l’orientamento dell’opera. In questo senso si stabilisce una effettiva interazione tra l’artista e lo spettatore. Una specie di cooperazione attiva alla creazione finale, ciò rende ancor più singolare e affascinante l’arte di Bianchi. Nei dipinti degli anni ottanta il segno è, invece, più frenetico e il colore maggiormente timbrico, magmatico, più affine alla temperie informale, ciò nondimeno la presenza a margine di un animale, reso pittoricamente o in maniera plastica, è già frequente; si tratta evidentemente di un elemento non solo stilistico ma concettuale. Sagome di gatti o uccelli riconoscibili, non a corollario estetico della pittura bensì interpreti di un mondo che va al di là del reale quotidiano, per affondare nella pura e divertita immaginazione. Divertita, per ammissione dello stesso artista che ama ripetere “il lavoro artistico per me è un gioco”, naturalmente un gioco che svolge seriamente. Queste opere di circa quarant’anni fa sono dense di materia cromatica e di gesto, sostanzialmente “lavori per addizione”; diversamente dagli attuali definibili “lavori per sottrazione” nei quali, appunto, dirada il colore e trattiene il gesto ottenendo risultati di esemplare raffinatezza. L’attuale capacità di sintesi conferisce un aspetto analitico alla sua tecnica, e un ulteriore carico lirico alla sua creatività. In questo senso le opere recenti risultano spesso ermetiche, misteriose, come portatici di verità nascoste. Nonostante ci siano alcune suggestioni apertamente dichiarate nel titolo, come nel caso della magnifica tela “Nostalgia del Natale” del 2021. In genere questi quadri non dicono tutto di se. Lasciano intuire, facendo affidamento sulla capacità introspettiva del linguaggio visivo non rappresentativo e sulla sensibilità dello spettatore. Alcuni di essi ricordano la leggerezza e la sofisticata evanescenza delle opere di Melotti oppure l’eleganza segnica di Elisa Montessori. Sebbene la pittrice genovese orienti il suo tratto prevalentemente al mondo naturalistico, mentre il nostro si rivolge con maggiore attenzione alla scena urbana. Infatti, alcune tra le sue opere più rivelative si intitolano “Crocevia”, “Sky City”, “Unità abitative rosse”, tutte allusive di una progettazione civica, ma nelle quali prevale la ricerca e la progettazione del segno e della luce a significare che l’indole dell’artista visivo domina sull’indole dell’architetto.

In conclusione, l’intero itinerario creativo di Franco Bianchi è riassumibile in una straordinaria operazione di equilibri formali e cromatici. E in qualche caso sono sufficienti solo le diverse intensità dei grigi – come nel delicato, diafano, “Giochi di matita”, del 2009 – aiutate da esili solchi di grafite per realizzare un totale bilanciamento, un’armonia assoluta. Per costruire tutto un equilibrio sopra la poesia.

Marcello G. Lucci, aprile 2022

Diramazioni, soste, ritorni, riprese - Marcello Carlino, marzo 2022

Il percorso dell’arte di Franco Bianchi Poteca, tra pittura e scultura, sembra potersi ricapitolare, finora, in una sequenza di tre tappe, quantunque sia necessaria l’avvertenza che le vicende ella ricerca artistica non si svolgono mai lineari e progressive, ma contengono per contro, statutariamente, diramazioni, soste, ritorni, riprese. Nelle opere  appare di sicura evidenza che tracce di Bacon e del suo espressionismo astratto sono dapprincipio rimarchevoli: le figure umane e, segnatamente, i loro volti rompono gli argini della ò che è racchiuso nel loro tronco e fra le ossa del capo, ciò che è dentro – e che per tanto simbolicamente apparterrebbe ai domini della interiorità – fuoriesce come materia disarticolata e inorganica,dai colori mineralizzati, translucidi. Il personaggio-uomo non regge, vacilla, colpito si perde; la frana dall’interno all’esterno, che accumula corpuscoli refrattari, non sembra avere arresto, anche perché l’allestimento della scatola scenica d’ambiente concede sovrapposizioni di piani, torsioni, slittamenti come sotto effetto di onde di propagazione che non hanno soluzioni di continuità o sotto gli scotimenti di uno sciame sismico che perdura. Non possono escludersi, nei quadri di rappresentazione, incipitarie mosse di dramma, alla maniera di Bacon, che esprimeva solitudine, incomunicabilità, male di vivere; epperò non è arbitrario ipotizzare che dalla testa del personaggio alla ribalta si riversino dinanzi a chi guarda tessere di un puzzle da montare, pezzi di un gioco di costruzioni, elementi che rinviano all’arte come finissimo esercizio di piacere della esperienza e della conoscenza, come libertà al di là del  troppo umano, in salvo dalle pastoie che costringono e intristiscono il principio di realtà. Quasi che la craniotomia operata lasciasse esondare il represso, fluire il rimosso che si legano alla verità profonda dell’uomo e dell’arte. Non a caso di fianco ad una sagoma d’uomo come decapitato, sta un uccello fatto della stessa materia/colore esondata dai recessi del corpo, un patchwork in corpo di volatile, un assemblaggio arlecchinesco felicemente variopinto.Parte così la seconda tappa dell’itinerario di sperimentazione di Franco Bianchi Poteca. Ad avervi un ruolo di primissimo piano sono gli uccelli, appunto. Bianchi, bruni o iridati, stanno – per riposarsi dopo il volo o per carburarsi prima del volo – in assolo o in coro, poggiati su un trespolo o distribuiti in ordine su di un attaccapanni, fermi sulla cuspide di una colonna da stilita o assorti forse pregustando una macedonia di frutta. E mentre dalla bidimensionalità della tela si trascorre alla tridimensionalità della scultura (una scultura-ambiente) e della installazione (che non manca di un movente ecologico),tutt’intorno a loro fioriscono figurazioni di sapore etno-antropologico, ora maschere ora totem ora fantasime da festa contadina, ora simboliche materializzazioni di fertilità e di abbondanza ora emblemi di magici riti propiziatori, ora tappeti esotici di filatura salgariana con sentinelle animali e con sorprese: fioriscono e si stilizzano spesso prendendo di legno. Un mondo altro e visionario, portato dalla fantasia e dall’immaginazione, stipato di luoghi del meraviglioso popolare alla maniera surrealista, si schiude affacciandosi sul piacere del testo di barthesiana memoria e promuovendo l’impareggiabile arte rigogliosa del gioco (e pure l’arte sopraffina dell’ironia, considerato che spesso sono “vintage” e sanno di riciclo le forme primitive appena sbozzate e gli stili della composizione plastica): è un mondo che vola. Finché il volo si fa assoluto. A battere le ali è un filo di colore sulla superficie della tela, come su di una pista di decollo indicata da un semplice segnale in aggetto ( una sorta di gnomone misuratore del tempo) ovvero tracciata da un ventaglio di minuscole orme, che instradano sembrando rimbalzare da Mirò.L’informale, che stavolta accompagna il viaggio di ricerca, punta verso un altro pianeta ( pare aversene una carta geografica con i suoi rilievi), circondato dal bianco di una nuova aria, pulita: un pianeta azzurro distante anni luce di una ritrovata sintonia col’universo. E’ la terza tappa di un percorso non rettilineo né pienamente preventivabile, diramato invece, animato pure da assaggi, da diversioni, da prove, da soste, da ritorni, da riprese: il percorso di Franco Bianchi Poteca, quello di ogni libera avventura dell’arte.

Marcello Carlino, marzo 2022

Vieni! - Santina Pistilli, 2022

Una singolare opera d’arte dedicata a Marcello Mastroianni, un’installazione moderna, luminosa e di ricercata eleganza ha da poco arricchito Piazza Trento, la piazza principale di Fontana Liri, il paese che ha dato i natali all’attore.

Esposta in uno spazio strategico, ben in vista sia per chi frequenta la piazza, sia per chi percorre la SR 82 della Valle del Liri, l’opera Vieni! è stata realizzata da Franco Bianchi POTECA, architetto – artista a tutto tondo, apprezzato in Italia e all’estero per la sua notevole sensibilità artistica e per la non comune abilità compositiva.

A prima vista la struttura ci suggerisce l’immagine di un’opera pop, essenziale,  lineare e nello stesso tempo complessa, eterogenea, tale da coniugare perfettamente architettura, scultura, pittura, design, fotografia, cinematografia e scenografia, le branche dell’arte tanto congeniali all’autore.

Realizzata per ricordare il legame affettivo tra il paese e Marcello Mastroianni, Vieni!  è una struttura tridimensionale, una vera e propria scultura dinamica, un oggetto di design particolarissimo, illuminato dall’interno come le insegne delle città metropolitane, che ci propone a prima vista immagini informali dell’attore, sorridente, solare, accattivante, evidenziate tra elementi decorativi, macchie cromatiche e giochi di luce.

L’opera ha la forma di un parallelepipedo di considerevoli dimensioni, sostenuto obliquamente in aria da tubolari, realizzato con profilati di acciaio lucido che fanno da cornice alle varie facce e conferiscono pregio a tutta l’opera. Le superfici, di plexiglass, sono a loro volta suddivise in spazi geometrici, in riquadri di diversa dimensione, veri e propri polittici moderni, ben delimitati tra loro da linee sottilissime o più semplicemente da alternanze di colore che formano dei fotogrammi e suggeriscono l’idea di un “film”, caratterizzato dal bianco-nero del fondo, in un gioco di colore/non colore, con evidente riferimento alla cinematografia. Un “film” che racconta le vicende artistiche di un  personaggio che tutti conoscono, che tutti ammirano e che si mostra in svariate facce e  multiformi angolazioni, come a dimostrare che ha molto da raccontare, molto da ricordare, molto da insegnare…..

Nel suo insieme l’opera  costituisce sì un omaggio a Marcello Mastroianni, ma anche un omaggio al cinema italiano: la scritta Marcello, come here!, realizzata con lettere di diversa forma e colore, sparse nel disegno, in libertà,  rievoca il film  La dolce vita di Federico Fellini, con la famosa scena della Fontana di Trevi, che rappresenta l’icona del cinema italiano e ha decretato la fama mondiale dell’attore.

I vari spazi scenografici sono ravvivati  dalla marcata presenza di macchie frammentate, dai colori vivaci, colori primitivi (giallo blu rosso nero…) che ricordano tanto i colori del neoplasticismo di Piet Mondrian.

Negli spazi geometrici, come in una pellicola, si avvicendano, reiterate, le immagini del volto di Marcello, assoluto protagonista dell’opera, immagini non riprodotte da foto ma dipinte e reinterpretate dall’autore, con un preciso richiamo alla famosa foto dell’attore che riceve il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1990.

Quale immagine più magica per celebrare una carriera, un personaggio, un’icona! Il viso, a cui la raffigurazione pittorica particolarmente accurata, alla maniera dei dipinti di Lichtenstein, aggiunge una sacralità e un’espressività molto più vivide rispetto alla fotografia, campeggia replicato più volte negli spazi delle varie facce del parallelepipedo. Quasi per incanto, immediatamente, ci sovviene l’opera con cui Andy Warhol celebra Marylin Monroe e ci accorgiamo con sorpresa e compiacimento che l’opera di Franco Bianchi, che celebra il nostro Marcello e  che si staglia maestosa nella nostra piazza, non è certamente meno prestigiosa!

Le immagini del volto di Marcello, isolate ma interagenti tra loro in un alternarsi di simmetrie e asimmetrie, formano un insieme armonico, ordinato, gradevole. Apparentemente sembrano tutte uguali, ma in effetti sono diverse una dall’altra: a volte in primo piano, a volte distanti, frammentate, incomplete o sovrapposte, dai contorni non sempre integri o non delineati perfettamente, sbiadite o reticolate, imperfette quasi a sembrare perfino un ritaglio, raccontano il vissuto di un personaggio mitico, che con la sua proverbiale “leggerezza”, quasi in un’atmosfera onirica, mostra ai suoi concittadini, o a chi per caso costeggia Piazza  Trento, la storia di un bambino che ha lasciato il suo paese a quattro anni perché costretto a emigrare e che ha realizzato negli anni con la sua genialità (peraltro caratteristica comune a molti esponenti della sua famiglia!), una carriera cinematografica prestigiosa, splendida, coronata da un successo planetario.

È da rilevare altresì che nell’opera, disseminate negli spazi tra immagini e colori sfumati, trovano posto sottili e delicate linee colorate, filamenti o piccoli segni, apparentemente insignificanti ma scenografici, importanti perché danno fluidità al racconto e tendono a equilibrare la scena, a bilanciare le immagini e a metterle in risalto con garbo e raffinatezza.

Come molti altri  elementi dell’opera, e come in moltissime altre realizzazioni di Franco Bianchi POTECA, essi rappresentano delle vere e proprie citazioni, dei rimandi palesi alle più significative  espressioni  artistiche del Novecento, indagato e studiato dall’autore alla ricerca di nuovi stimoli e soluzioni innovative, di avanguardia, sempre conciliati con le espressioni artistiche  tradizionali.

In qualità di Presidente del Centro Studi Ricerche e Documentazione Marcello Mastroianni, ma anche come cittadina di Fontana Liri, non posso che  esprimere il mio compiacimento all’autore per l’opera Vieni!, e all’Amministrazione comunale un plauso per averla commissionata e collocata nella piazza principale del paese per rendere omaggio al suo concittadino  più illustre. L’opera è perfettamente in linea con il nostro obiettivo di tener vivo il ricordo dell’attore, soprattutto presso le giovani generazioni, e celebrarlo per quel senso di pietas che  “si deve” ai concittadini che si distinguono nel mondo e danno lustro al paese natale.

Il   titolo Vieni!!  metaforicamente assume il significato di un invito pressante all’attore a tornare idealmente tra noi, a restare qui a documentare, insieme allo zio Umberto Mastroianni, la forza dell’arte, del talento e dell’impegno, a simboleggiare la speranza di un rinnovamento di tutti quegli ideali ispirati e rinvigoriti dall’arte.

È significativo che proprio dalla nostra piazza, dalla piazza del paese che ha dato i natali a due prestigiosi  artisti del Novecento, sia lanciato questo messaggio  di fiducia nel potere dell’arte, con l’esempio  di un successo che non è solo di Marcello Mastroianni, ma accomuna tutti gli artisti che si distinguono e si prodigano per il trionfo della Bellezza e per una Rinascita  del territorio nel segno dell’arte.

E che dire del piccolo pappagallo, la sphragìs dell’autore, presente anche in molte altre  opere di Franco Bianchi POTECA, che come gli uccelli della migliore tradizione letteraria partecipa alla scena? Candido, a dimostrare forse la sua neutralità, sospeso tra cielo e terra, intermediario tra presente e futuro, egli è imperscrutabile spettatore dello scenario circostante e dalla sua postazione in alto tutto vede, tutto sente, tutto sa e …… aspetta!

Sta forse  a rappresentare simbolicamente lo stesso autore che, distaccato, inconsciamente gli conferisce la funzione di custode dell’opera, di supervisore, di testimone di un rinnovamento nell’attesa del ritorno di Marcello, scelto come emblema della valenza dell’Arte in tutte le sue declinazioni e in tutte le sue forme?

Ci piace credere che sia così e insieme a lui, mentre osserviamo il volto rasserenante di Marcello, immaginiamo di ascoltare in lontananza  le note  di Nino Rota dal tema del film 8 1/2 e ….. aspettiamo!

Santina Pistilli, 2022

L'observateur alerte - Fondazione Moderni, Roma 2013 - Francesco Pittiglio Berger, 2013

E’ vasto, alternato, eclettico, il lessico artistico, che spazia dalla pittura alla scultura, spingendosi sino alla scrittura, più volte riformulato da Franco Bianchi nel corso degli anni. E’,  invece, un processo progettuale, compositivo, grafico, essenzialmente “trifasico”   (Concept/Assemblage/Fissage), composto da pochi elementi cromatici, quello che compie sui grandi supporti (Macro scala pittorica). Evidente nelle sue opere è la volontà formale che gradualmente tende al polimaterismo, si guardi all’ampio uso di materiali utilizzati e reinventati ( c’e’ una sorta di rigido rifiuto della convenzionale concezione di oggetto). Già lontano dagli originari canoni dell’auto figurazione, plastica, omogenena e multicolore, la sua pittura approda ad un’idea essenziale, istintuale e spontanea, sorretta da concrete e composte strutture formali. La tela, perimentro narrativo già delimitato, successivamente rifrazionato, diviene quinta scenica o sfondo ove prende forma una scrittura ora pittorica, con la stesura cromatica alternata ad ampie zone di raffreddamento; ora architettonica, maggiormente urbana, laddove la naturale inclinazione lo porta a tessere liberi segni di grafite che rimandano direttamente alla genesi prima di contesti urbani, ad accennate vedute dall’alto, planimentrie e/o a moderne visioni di insieme; ancora, e contestualmente, la sua scrittura è rimasta come se le quattro tele (a volte anche meno) fossero “metricamente disposte” in rima ora baciata, ora alternata, ora incrociata. Non v’è, stereotipata, maniacale ricerca, né ossessivo o metaforico rimando, né banale descrizione, ma, al contrario, si evince il chiaro bisogno di continue sperimentazioni linguistiche che aprano la via alla contaminazione e all’innesto (alla mutua collaborazione) tra pittura e scultura, come è evidente nelle istallazioni che hanno sempre protagonista un ” siptace” (pappagallo), probabilmente ponte dialettico tra il proprio fare arte e l’uomo-fruitore (” L’ observateur alerte”, il pappagallo è vigile appunto, astuto, prudente, ha una memoria forte, impara velocemente, ha coscienza delle sue azioni. Fedele, ma irascibile, vendicativo).

Francesco Pittiglio Berger, 2013

Il segno progettato - Angela Sanna, aprile 2007

I lavori di Franco Bianchi  segnano un percorso artistico che conosce diversi lustri di attività e di ricerca pittorica. Franco Bianchi, architetto di professione, si misura con l’arte della pittura fin dalla giovinezza, trovando in essa l’attuarsi concreto di una passione quasi innata e lo stimolo, sempre desto, a sperimentare attraverso i segni. Il segno progettato, appunto, come suggerisce il titolo del testo, costituisce una delle numerose definizioni potenziali di queste opere, anche se, in realtà, la ricchezza di suggestioni formali e di spunti tecnici travalica di gran lunga questa semplice interpretazione. La pulizia, l’assenza di sbavature nei lavori di  Franco Bianchi sono certo indici di un controllo esecutivo che tutto misura, ma vi è di fondo un groviglio di idee e un complesso di suggestioni che lo stesso segno riesce a stento a contenere. Forse è proprio questo il nodo dal quale si diramano i lavori dell’autore, fatti di contrasti e accostamenti che coinvolgono ogni elemento dell’opera, dal supporto ai segni, dai formati alle cornici, dalle campiture di colore alle forme, dai mezzi pittorici ai materiali applicati. Con l’assemblaggio di più tele di grande formato, e di per sé autonome, Franco Bianchi realizza vasti polittici composti secondo una logica di continuità tra i vari pezzi: bande di colore, segni grafici, planimetrie ignote, figure aniconiche si ricompongono in una struttura che, obbedendo alla forma mentis dell’architetto, concede all’estro formale senza tuttavia sacrificare l’effettiva funzionalità e solidità del prodotto artistico. Negli stessi lavori, viceversa, la pittura permette all’artista di scardinare tale griglia, favorendo il dispiegarsi libero di una composizione emotiva più che mentale. Ecco allora il fraseggio dinamico e reiterato della matita, i geroglifici aleggianti sulla superficie, le tonalità, spesso decise e brillanti, contrapposte al bianco, che si fa luce nel confronto con gli acrilici o che diviene supporto neutrale per le misteriose planimetrie che affiorano, minuscole, in superficie. A guardarle, queste planimetrie – che connotano diverse opere di Franco Bianchi – sono visioni di città percepite da un’altitudine nella quale incrociamo fasce di colore, forme brulicanti di segno e materia,  grumi di perline e frantumi brillanti. Una cifra stilistica che l’autore sembra invece tradire, o rispettare solo parzialmente, nei grandi tondi, dal sapore antico, dove il dato segnico si sottrae al controllo memore, sul piano tecnico, dell’espressionismo astratto e del dripping. L’elaborata cornice dorata e intagliata che le circoscrive, conferisce a queste opere una nota preziosità che ritorna, con altra modalità, negli inserti dorati e nei piccoli elementi brillanti che cospargono, in diverse zone e diversa densità, i polittici o i singoli quadri. I tondi, così incorniciati, creano un riferimento colto al passato, facendoci riflettere nuovamente su come, nel modus operandi dell’autore, i contrasti e le contrapposizioni siano una fonte di ispirazione fondamentale, e possano far coesistere elementi distanti al di là di ogni sequenza logica e cronologica. Fonte di riflessione ed elaborazione è anche per Franco Bianchi, la sua sedimentata e ormai rarefatta acquisizione di immagini viste nelle opere di grandi maestri da lui stesso osservate in passato, da Mondrian a Kandinsky fino a Francis Bacon. E’ presumibile che il suo propendere verso l’esperienza a-figurale – o “astratta” – si sia nutrito delle geometrie e delle forme dell’astrattismo storico, elaborate non a caso da artisti ugualmente a contatto, seppure diversamente, con il mondo della progettazione – il Bauhaus, come è noto – da Kandinsky a Klee. Di qui, anche, il rigore compositivo, che l’artista raggiunge calcolando le distanze e la simmetria tra le forme, e l’equilibrio cromatico, tutt’altro che casuale nei contrapposti e contrappunti ricercati. Architetto e artista entrano in comunicazione, nelle opere di Franco Bianchi, come un naturale e raffinato incontro  tra parti complementari.

Angela Sanna, aprile 2007

François Proia

L’arte è così diversa che ci sono tanti modi per capirla quante sono le persone. Ecco perché ci sono studiosi che danno una propria definizione particolare della parola, come quella scritta da Tolstoj che disse: “L’arte è l’attività mediante la quale una persona, avendo provato un’emozione, trasmette intenzionalmente agli altri”.
Durante la sua vita, il famoso romanziere russo era noto per aver scritto in base alle sue esperienze di vita, come la sua opera più famosa, “Guerra e pace”, che ha utilizzato gran parte della sua esperienza durante la guerra di Crimea. Che la sua definizione di arte sia la migliore o meno, occorre sottolineare che le persone guardano all’arte in base a come hanno vissuto.
L’arte e la sua definizione saranno sempre controverse. Ci saranno infiniti dibattiti su cosa sia arte e cosa non lo sia. Una domanda rimane: perché l’arte è importante per la società umana, già dal tempo delle pitture rupestri e dai geroglifici?
Che ce ne rendiamo conto o meno, permettiamo alle arti di influenzare le nostre vite in un modo o nell’altro, e le ragioni per cui facciamo arte sono molte. Un’esposizione rappresenta l’apertura verso l’altro, l’apertura di se stessi verso il mondo. L’arte ci può salvare? Sì, senz’alcun dubbio, richiamando le nostre capacità di meravigliarsi di un mondo che ne ha veramente bisogno.
L’opera di Franco Bianchi occupa nella modernità artistica un posto di assoluto rilievo. Ha le sue radici nel XIXe secolo per iscriversi pienamente nel seguente. Per dire meglio, tutta la sua opera è innervata da una visione singolare del mondo che le trasmette una potente dimensione simbolista.
Il singolare processo creativo di Bianchi lo conduce a realizzare numerose declinazioni di uno stesso motivo, e anche diverse versioni di uno stesso soggetto. La nozione di ciclo gioca un ruolo chiave nel suo pensiero e nella sua arte. Interviene a diversi livelli fino ad entrare in gioco nella costruzione stessa delle sue tele, dove alcuni motivi tornano in modo regolare. Le sue opere sono tutte impregnate dalla profondità del suo mondo emozionale, mentale e spirituale. Bianchi è sicuramente un artista “tormentato” che ha conosciuto uno sconvolgimento personale interiore considerevole.
L’utilizzo ragionato del colore e potenti pennellate creano una composizione movente e strutturata di rara efficacia. Molte composizioni di Bianchi sono una ricca combinazione di linee verticali, orizzontali e circolari che trasmettono un’impressione di movimento e definiscono una prospettiva nuova, fluida, e di un mondo altro. Questa prospettiva gioca direttamente con gli aspetti spaziali della composizione permettendo a Bianchi di reinterpretare radicalmente la realtà e di modificarne la percezione. In tal modo, i tratti simboli e i paesaggi astratti e onirici diventano la sua firma pittorica e inimitabile, capace di soffocare il controllo cosciente sul processo creativo. In tal modo, lo spirito incosciente e l’intuizione guidano il lavoro, elaborando un’iconografia inedita che segue il filo di un pensiero pittorico sempre inventivo: un’opera coerente per non dire ossessiva, e nello stesso tempo costantemente rinnovata che offre una veduta sul paesaggio intimo dell’artista, di una profonda e assoluta sincerità, intrattenendo l’incerto, la passione.
Questo catalogo proponendo, nel vasto corpus dell’artista, una selezione attenta di molte sue opere ha lo scopo di dare una visione d’insieme del suo magnifico lavoro. La forza dei tratti, il gioco sulla materia e la sua evoluzione, la sospensione del tempo, l’evoluzione verso una realtà astratta di colori e di forme, deliberano una vasta quantità di dialoghi pittorici. Vero e proprio viaggio nel cosmo interiore di Bianchi, il catalogo invita il lettore a perdere i suoi riferimenti per arrivare a una osmosi finale astratta e liberata.
Bianchi incarna l’idea che la vita è la più grande forma d’arte ed egli ha sfruttato la sua con una tale incessante passione, una purezza di missione e un impegno costante a esplorare e a perfezionare i suoi diversi interessi e mestieri che è impossibile ignorare il suo impatto rivoluzionare sul mondo dell’arte contemporanea. Mostrandoci delle rappresentazioni visuali dei suoi sogni e del suo mondo interiore messo a nudo, grazie a un disegno squisito, e a delle tecniche di pittura da vero maestro, Bianchi ha aperto un vasto campo di possibilità per gli artisti che mirano a inserire il personale, il misterioso e l’emozionale nei loro lavori.

François Proia